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    Apprendimento motorio, complessità e neuroscienze applicate al calcio

    Il gioco del calcio è complesso, imprevedibile, dinamico, dipendente dalla relazione con l'attrezzo palla (l'attrattore principale del gioco), con altri giocatori e con spazi ampi. L'adozione di metodi e didattiche di apprendimento motorio senza un solido fondamento scientifico aumentano l'imprevedibilità e la casualità. Per riuscire ad allenare in modo efficace la sfida è quella di trovare un ordine all'interno di questa complessità. Per dipanare quella che appare una matassa aggrovigliata ci si riferirà alle neuroscienze e alle teorie fisico-matematiche dei sistemi dinamici

    La complessità dei sistemi è rifererita alla complessità di un singolo giocatore, di una squadra (giocatori, allenatori, dirigenti) o di una partita (palla, avversari, campo, meteo, stadio, pubblico, etc) mantre con sistema dinamico si intende un sistema in continua evoluzione anche discontinua ovvero mai stabile difatti un giocatore o una squadra non si esprimono mai in modo identico e, similmente, la condizione di stabilità in una partita di calcio si ha solo al calcio d'inizio.

    Questo approccio non vuole essere riduzionista ma rendere consapevoli di quanta complessità c'è nel gioco che difatti molti definiscono il più interessante e divertente. L'intento è quello di stimolare un amplimento di prospettiva.

    In questo articolo si farà uso di concetti mutuati da un approccio costruttivista dell'apprendimento nella misura in cui la prestazione è una esperienza reale ma anche il risultato di stratificazioni successive di precedenti esperienze per cui si impara a giocare bene solo giocando tanto. Da questo punto di vista si cercherà di ridimensionare e criticare l'approccio tradizionale basato sul contributo dell'educazione fisica per sport come il calcio, il basket o il rugby. Giocando si allena la condizione fisica e non viceversa solo per chiarire che l'educazione fisica è una disciplina bellissima e utilissima ma che non si diventa bravi cestisti perchè si è bravi atleti. Bisogna sempre tarare tutto rispetto agli scopi che si hanno: migliorare la propria bravura nel gioco o muoversi un pò ?

     

    Neuroscienze e atti motori

     

    funzionalità dei neuroni specchio

     

    Senza quindi voler trarre conclusioni troppo conclusive dalla scoperta dei neuroni specchio (risalente ai primi anni '90 del secolo scorso grazie all'equipe del Professor Rizzolati dell'Istituto di Fisiologia umana di Parma) in quanto gli stessi ricercatori sono ancora restii nel dedurre conseguenze pratiche conclusive è però indispensabile che qualsiasi allenatore conosca quanto meno di cosa si sta parlando perchè le implicazioni con l'apprendimento motorio sono importanti. Di seguito si riassumono molto brevemente in modo sommario queste evidenze scientifiche e non solo quelle riguardanti i neuroni specchio che devono essere patrimonio di ogni allenatore: 

    • lo spazio è percepito e codificato come:
      • spazio vicino (peripersonale) dove sono posti gli oggetti raggiungibili anche con strumenti esosomatici cioè lo spazio di azione, lo spazio prossimale
      • spazio lontano dove sono posti oggetti fuori dalla nostra portata diretta cioè gli spazi di percezione e di evoluzione
    • molti neuroni di movimento sono attivitati da neuroni pre-motori, i neuroni cosiddetti neuroni specchio
      • il movimento non è generato da un processo riferibile direttamente al movimento in sè ma dipende dall'attivazione dei neuorni specchio
    • i neuroni specchio sono neuroni che riconoscono le intenzioni invece che gli atti motori, che si attivano in riferimento agli scopi
      • uno stesso atto può stimolare neuroni diversi se compiuto con finalità diverse
      • sembra appropriato considerare la specificità sportiva associata allo scopo di un determinato atto motorio piuttosto che alla sua forma
    • i neuroni motori si attivano quando un gesto motorio:
      • è eseguito (anche da altri esseri)
      • è immaginato
      • è osservato (il cervello comprende e anticipa l'intenzione motoria altrui)
    • ci si relaziona e si mappa lo spazio d'intorno codificandolo come:
      • spazio vicino (dove sono posti gli oggetti raggiungibili anche con strumenti esosomatici) cioè lo spazio di azione, lo spazio prossimale
      • spazio lontano (dove sono posti oggetti fuori dalla nostra portata diretta) cioè gli spazi di percezione e di evoluzione
    • la stragrande maggioranza degli atti motori in sport aperti come il calcio o il basket sono inconsapevoli, automatici in quanto la coscienza diviene consapevole dell'atto motorio con un ritardo di circa 300 ms rispetto ad uno stimolo ambientale passivo (Libet, 1997-2007)[1]:
      • sotto pressione temporale (nello spazio di azione) è inutile agire sulla scelta consapevole
      • è lecito ritenere che sia più efficace allenare:
        • la rapidità di risposta motoria agli stimoli (100-150 ms)
        • la lettura delle situazioni di gioco
        • con esercitazioni situazionali (vedi Didattica del calcio) inconsapevoli
    • l'apprendimento motorio è un fenomeno neuroplastico consistente nel miglioramento della funzionalità sinaptica e strutturale che:
      • dipende dall'ambiente
      • si realizza tramite i neuroni specchio
        • solo se viene riconosciuto lo stesso scopo
        • per imitazione
        • per prove ed errori (cioè esercitandosi)
        • per immaginazione

    Questi principi confermano l'importanza della:

    • intenzionalità (e quindi del gioco e del compito assegnato in un determinato esercizio)
    • percezione della mappa spaziale (fondamentale per anticipare l'avversario)
    • necessità di sbagliare per apprendere

    I neuroni specchio fanno percepire gli altri come se fossimo noi stessi senza bisogno di mediazioni o di ulteriori riflessioni in quanto si attiva la stessa area neuronale sia che, ad esempio, io sia disgustato sia che veda una persona disgustata con un processo simile a quello motorio. Questa empatia emozionale favorisce la creazione di comunità di emozioni. Ovviamente questo riconoscimento diretto delle intenzioni altrui non è l'unico modo che abbiamo per capire il mondo ma ne abbiamo anche altri come, ad esempio, la riflessione cognitiva che però non è immediata ma necessità di molto più tempo per compiersi.

     

     

    Classificazione dei sistemi

    I sistemi possono essere definiti come:

    • semplici: se composti da pochi elementi separabili e ricomponibili
    • complicati: se composti da molti elementi comunque indipendenti
    • complessi: se composti da elementi inseparabili
    • integrati: se composti da elementi in stretta relazione tra loro

     

    Proprietà e principi dei sistemi complessi

    L’autorganizzazione è un processo instabile basato su semplici e deboli (quindi modificabili) regole di interazione condivise tra i sottosistemi senza una necessaria direzione scelta da un leader che consente al processo di rigenerarsi continuamente sulla base delle condizioni ambientali:

    1. la condivisione: tutti gli elementi del gruppo devono credere negli stessi principi altrimenti non si possono creare (i deboli) legami (riconfigurabili) di integrazione (2)
    2. l'integrazione**: è spesso inconsapevole, imprevedibile, irreversibile e, soprattutto, debole il che permette di cambiare le relazioni coi sottosistemi dello stesso livello. Si può riassumere con la frase: non si può smontare e rimontare un gatto. L'integrazione genera una ridondanza (3) di risorse
    3. la ridondanza: nell'immediato questo eccesso di risorse (ad esempio una superiorità numerica in zona palla) può sembrare uno spreco ma è funzionale ad un nuovo cambiamento, una riorganizzazione (4)
    4. la riorganizzazione: la ridondanza fa emergere spontaneamente una nuova struttura (con un nuovo ordine e un nuovo comportamento) dotata di proprietà differenti dalla precedente

    I sistemi complessi mostrano alcune proprietà caratteristiche:

    • l'imprevedibilità: il processo non può determinarsi sulla base di calcoli. Piccole differenze nelle condizioni iniziali generano grandissime differenze nell'evoluzione del sistema (effetto farfalla)
    • l'emergenza di nuove proprietà: il tutto non è la somma delle parti ma un sistema con proprietà diverse
    • la figura del facilitatore: il processo di auto-organizzazione descritto può essere favorito da un leader (l'allenatore o un giocatore con spiccata personalità, etc) a patto che non imponga regole e schemi prefissati ma, sulla base delle caratteristiche dei singoli (i giocatori), rinforzi la dinamica dei processi (top-down) generati dai componenti che fanno le proprie scelte (sulla base di principi condivisi). Il facilitatore definisce la strategia e può chiarire la tattica e il modello (la struttura, la matrice) nei gruppi che se ne possono giovare e propone esercitazioni alternativamente situazionali (per affinare e rafforzare i vantaggi) e globali (per riconoscere nuove proprietà) in cui i giocatori accumulano esperienze modificando le strutture in un ciclo che l'allenatore deve sostenere, catalizzare ma non deve distorcere.

     

    ** I riduzionisti la chiamano 'interconnessione' utilizzando un termine che è riferito ai processi inanimati (ad esempio quelli che poi costituiscono la cosiddetta rete) invece che ai processi relativi agli organismi vitali

     

    Tipologie di approccio

    • riduzionistico (anche detto cartesiano o analitico o meccanicistico): è quello tradizionalmente accettato e consiste nello scomporre il tutto nelle sue parti e dallo studio delle parti risalire alle proprietà del sistema assemblato. Questo approccio trova la sua espressione nell'allenamento a blocchi (vedi sotto) e considera la partita come l'insieme separato delle regole, delle squadre, dell'arbitro, del campo di gioco, dell'attrezzo palla, delle condizioni meteo etc..., la squadra come l'insieme dei giocatori, il giocatore come l'insieme dei suoi organi e apparati (muscoli, cervello, etc). Purtroppo cpn questo approccio si possono manipolare efficacemente solo i sistemi semplici ed inanimati mentre per gli organismi viventi la sola comprensione delle parti non ci aiuta a comprendere le proprietà del tutto. Si pensi ai tessuti che costituiscono, ad esempio, la vista. Ebbene nessun tipo di cellula vede eppure noi vediamo grazie ai tessuti che compongono l'occhio e il cervello. 
    • sistemico: le proprietà dell'insieme possono apparire (ad un occhio competente) solo quando e solo perchè le parti interagiscono tra loro ma scompaiono se le parti si separano o vengono considerate singolarmente. Questo approccio trova la sua espressione nell'allenamento integrato (vedi sotto) e considera la partita, le squadre, l'arbitraggio e i giocatori come sotto-sistemi di sistemi complessi e integrati l'uno con l'altro. La sostituzione di un solo giocatore può cambiare completamente l'inerzia del gioco. Studi scientifici hanno dimostrato che il solo cambiamento dell'allenatore pur conservando la stessa filosofia e mezzi allenanti generava risultati completamente differenti sulle stesse squadre.

     

    Tipologie di allenamento

    • a blocchi: (anche detto a stazioni) deriva dall'approccio riduzionista e prevede momenti di allenamento specifico per incidere su una propietà o su un sottosistema di cui sarebbe composto l'organismo (muscoli, neuroni, tattica, tecnica, etc...) e considera la prestazione come la somma delle varie capacità da migliorare separatamente (se corro tanto, se sono tanto rapido, se sono tanto bravo a passare e a calciare la palla allora vincerò tutte le partite). Utilizza gli esercizi analitici per allenare e i test come strumento di previsione della prestazione. Ricorre anche ad esercitazioni individualizzate.
    • integrato: deriva dall'approccio sistemico ed intende stimolare contemporaneamente tutte le componenti (fisiche, tattiche, tecniche ed emotive) dei vari sistemi complessi (giocatore, squadra, partita) non focalizzandosi sulle prestazioni ma sulle relazioni funzionali e sull'armonica integrazione tra le parti. Non si concepiscono interventi settoriali (sul singolo giocatore, sul singolo gesto tecnico, sulla singola capacità condizionale, etc...) ma solamente globali o situazionali. Si tratta di ripetere senza ripetere, variando continuamente qualcosa (allenamento differenziale). Un esempio di semplice azione motoria complessa è l'atto del camminare il quale comporta un automatismo ma sempre leggermente diverso che si deve adattare di volta in volta alla superficie che si incontra. Un neonato impara a camminare su varie superfici non per forza perfettamente piane. Anche per quanto concerne i test essi non si considerano predittivi della prestazione (non a caso anche i più forti campioni talvolta sbagliano i rigori importanti e capita che segnino goal bellissimi giocatori molto meno famosi).

    Non esiste un modo univoco per imparare a 'muoversi' in contesti complessi imprevedibili: può esser fatto attraverso il gioco libero praticato nella piazzetta vicino casa ma anche grazie alla guida di un facilitatore (gioco organizzato, cioè sport) capace. Quello che non deve mancare è l'esperienza diretta con l'ambiente partita. Per imparare a giocare a giochi complessi infatti bisogna giocare. Più si farà esperienza diretta di situazioni complesse e più si diventerà bravi a nuotare nel mare della complessità. La riduzione della complessità può essere necessaria in presenza di lacune tecniche importanti altrimenti è bene fornire principi (scopi) e un linguaggio (non verbale) comune alla squadra in modo che sappia risolvere i problemi attraverso la collaborazione dinamica.

     

    La didattica della complessità

    Senza diventare troppo ideologici si vuole descrivere quello che è un ambiente didattico che considera la complessità una proprietà fondamentale del gioco del calcio:

    • nelle sedute di allenamento è necessario sollecitare le stesse intenzioni che si potrebbero determinare in partita altrimenti i neuroni specchio non si attiverebbero in partita perchè non riconoscerebbero la stessa intenzione e siccome i neuroni specchio sono i neuroni pre-motori
    • gli esercizi analitici e più in generale la scomposizione del gesto non sono raccomandati ma possono essere utili a livello propedeutico per recuperare lacune tecnico-tattiche importanti, a tal fine (propedeutico) è utile mostrare il gesto senza destrutturarlo e senza imporre scopi riferiti al gesto ma solo alle finalità di esso (far arrivare la palla al compagno, controllare la palla, calciare vicino al palo e non addosso al portiere)
    • allenarsi in spazi ridotti e con un numero di giocatori limitato è considerato propedeutico alla comprensione dei principi di gioco e si trasferirà nelle partite solo negli spazi di azione e percezione ma non di evoluzione (gli spazi a tutto campo)
    • le modalità di apprendimento per imitazione e per prove ed errori suggeriscono di lasciare che i giocatori facciano esperienza giocando il più possibile senza paura di sbagliare

    E' necessario allenare:

    • le circostanze (non i gesti) operando su spazi e densità di gioco specifici
    • a riconoscere le intenzioni dei compagni
    • a riconoscere le intenzioni degli avversari
    • a nascondere agli avversari le proprie intenzioni
    • a risolvere problemi, facendo scelte funzionali (consapevoli o meno) in contesti complessi (imprevedibili) quindi con la necessaria pressione da parte di avversari. Per scelta funzionale si intende l'assunzione di ruoli a seconda della circostanza che si pensa possano dare un vantaggio
    • la mente piuttosto che i muscoli i quali, giocando, si alleneranno di conseguenza (sono poco utili le tradizionali preparazioni estive o i giri di campo)
    • i principi di gioco come emergono dai giocatori, non le regole
    • le collaborazioni che danno vantaggi soprattutto relazionali oltre che spaziali, numeriche, di identità con lo scopo di potenziarle

    Ricordare che la complessità non si può allenare ma si può accettare a patto di immergervisi.

    Qualche esempio di mezzi allenanti la complessità

    • partita libera in spazi e numero di giocatori realistici in cui l'allenatore si limita ad osservare le relazioni tattiche emergenti che danno un vantaggio. l'11 vs 11 non è necessario anche se non fa male se si propongono sedute a numero ridotto consistenti con quanto avverrà in partita in detyerminate porzioni di campo.
    • esercitazioni per la gestione dei punti deboli evidenziati nell'ultima gara sapendo che le ripetizioni si mantengono nella memoria a breve termine e poi svaniscono
    • esercitazioni di tipo propedeutico al solo scopo di aiutare a comprendere i principi di gioco
    • 4>2 con diversi tipi di palla, vincoli (numero di tocchi, punti differenti assegnati per ogni tipologia di passaggio (filtrante, laterale, etc...)) ed area di gioco variabili ad ogni ripetizione (ripetere senza ripetere) 

    In generale si dovranno sviluppare tutti i gradi di complessità, di intensità, di recuperi all'interno di una singola seduta senza distribuirli lungo il corso della settimana in modo predeterminato ma lasciandosi indirizzare da quello che i giocatori fanno emergere

    Per approfondimenti, la didattica nel calcio

     

    Bibliografia:

    Note:

    [1] Esperimento di Libet (1977): «l’attivazione di un atto volontario spontaneo [...] può iniziare, e di solito inizia, in maniera inconscia». Nel 2007, i neuroscienziati Soon, Brass, Heinze e Haynes hanno confermato i risultati ottenuti da Libet grazie all’utilizzo di una tecnologia più sofisticata ma hanno anche rilevato che col loro esperimento l’accuratezza della predizione raggiungeva solo il 60%. Dennet confutò l'esperimento di Libet sostenendo che «Ciò che ha scoperto Libet non è che la coscienza resta vergognosamente indietro rispetto alle decisioni inconsce, ma che i processi decisionali coscienti richiedono tempo». Il filosofo austriaco Alexander Batthyany ha poi rimarcato che l’azione richiesta ai soggetti sotto esperimento non corrisponde a un’azione volontaria né a una deliberazione ma a un compito da eseguire, quindi di un’esperienza passivamente sentita. Nel 2010, Susan Pockett, affiancata dalla collega Suzanne Carolyn Purdy, ha dimostrato che una stessa azione in situazioni diverse può dare risultati diversi fino a quasi coincidere. Appare quindi verosimile ritenere che l'allenamento passivo della scelta consapevole possa non essere efficace mentre assume maggiore consistenza un tipo di allenamento a scelta non vincolata.