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    Normativa e vaccinazioni

    Dal punto di vista legale, in assenza di epidemie non ci sarebbe stata alcuna oggetiva ragione per ricorrere all'uso della decretazione di urgenza e questo strumento legislativo, per sua natura, impedisce anche un fisiologico dibattito su temi di coscienza e di scienza ma cala una mannaia su qualsiasi tentativo di trovare una soluzione non ideologica. Approfondimenti legali, economici e sociali sono trattati in questi articoli del quotidiano sanità (1, 2) e nel già citato articolo di Bernini su altalex. Riguardo alle pregiudiziali di incostituzionalità

    del decreto le attenzioni si concentrano su questioni di illegittimità per violazione dell'art. 77 Cost. in relazione ai poteri di cui all'art. 70 e di merito per violazione degli atti. 32, comma 2 e 34 Cost. e più in generale degli atti. 2, 3 etc. Cost.. Come molti hanno evidenziato i due commi dell'articolo 32 non possono essere stravolti nel loro significa. Questo decreto permette allo Stato di violare i diritti delle persone per motivi di salute pubblica pubblica. E' come se si legittimasse l'obbligo di abortire i secondogeniti che è stato in vigore per 35 anni in Cina per favorire il contenimento delle nascite. La Costituzione dello Stato italiano invece impedisce di adottare trattamenti sanitari di salute pubblica che violino i diritti della persona umana.

    Riguardo alle pregiudiziali di costituzionalità sono interessanti anche le osservazioni tratte dal blog del deputato ivan catalano.

    Si sono opposti a questi provvedimenti i comitati e le associazioni per la libertà di scelta vaccinale e i danneggiati da vaccino oltre a pochi medici, ora a rischio radiazione. Alcune regioni tra cui Lombardia, Veneto e Liguria si erano già dichiarate contrarie ad un provvedimento del genere ma non sono riuscite a bloccare l'iter legislativo. Altri consigli regionali (vedi Umbria, Toscana, Lazio, Emilia Romagna) e comunali (vedi Trieste e Perugia) avevano già legiferato a favore dell'obbligo vaccinale per l'iscrizione a scuola. Dopo l'emanazione del decreto il primo consiglio provinciale a contestare all'unamità le misure coercitive è stato quello dell'Alto Adige, seguito dalle regioni veneto (che ha impugnato il decreto di fronte alla corte costituzionale), lombardia e liguria.